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Orientarsi tra necessità e opportunità nella concezione di un business sostenibile. È il momento di farlo bene.

Sono finiti i tempi in cui politica e impresa deridevano le associazioni ambientaliste. Oggi termini come sostenibilità ambientale, economia circolare, biodiversità sono ormai entrati nel lessico politico-economico comune e credetemi, sentire parlare di sostenibilità ambientale tanti tromboni della vecchia politica mi procura non sapete che soddisfazione, a volte anche ilarità. Perché di retorica su questi temi c’è n’è molta.

Oggi più di ieri avvertiamo finalmente l’urgenza di un cambiamento “epocale” del nostro sistema economico produttivo in direzione della sostenibilità ambientale e sappiamo i rischi che si corrono tra il dire e il fare, tra la teoria e l’azione, tra pensieri e comportamenti. Vedo molta eccitazione intorno al tema della transizione ecologica; non vorrei che la vera motivazione di tutta questa eccitazione fossero i soldi che dovranno arrivare dall’Europa tra prossima programmazione, PNRR e Repower EU. Non vorrei che la transizione ecologica fosse per alcuni solo una grande occasione di business.

Basta infatti leggere l’analisi delle società che rappresentano circa il 75% dei mercati azionari europei pubblicata qualche giorno fa dalla no profit CDP e dalla società di consulenza gestionale Oliver Wyman – del gruppo Marsh McLennan – per vedere che le aziende europee sono ben lungi dall’elaborare piani di transizione climatica credibili per allinearsi all’obiettivo di riduzione delle temperature globali di -1,5°C.

Nel segno che le aziende europee stanno diventando consapevoli della necessità di tali piani, la ricerca rileva che circa la metà (49%) riferisce di avere in atto un piano di transizione climatica per limitare il riscaldamento a 1,5°C.

Tuttavia, lo studio rileva che la maggior parte dei piani potrebbe mancare di ambizione e trasparenza in aree chiave necessarie per mostrare un’azione seria, come la governance, la pianificazione finanziaria e l’impegno nella catena del valore.

Insomma: un dato non proprio esaltante.

Dal rapporto emerge inoltre la mancata uniformità di questo impegno, ovvero assistiamo a significativi progressi nella riduzione delle emissioni di carbonio da parte di molte grandi aziende europee (che hanno le risorse e anche la “convenienza” reputazionale ad investire nella conversione green) mentre la stragrande maggioranza delle PMI, l’ossatura del nostro sistema produttivo nazionale e regionale, ha enormi difficoltà ad adeguarsi in quanto gli oneri di conversione energetica da affrontare sono maggiori.

Non tutto quello che è emerso però è negativo. E’ incoraggiante constatare che la transizione energetica è in cima all’agenda della quasi totalità delle aziende (tutte aspirano ad essere green) e che il 56% ha sviluppato un piano di transizione nei settori a maggior impatto. Nei casi migliori, questi piani di transizione includono strategie convalidate da enti scientifici esterni all’azienda e sostenuti da investimenti significativi in direzione: dell’efficientamento energetico; della produzione da FER e dello sviluppo di prodotti a basse emissioni di carbonio. Laddove non riescono a ridurre il proprio impatto molte aziende hanno programmato investimenti di rimboschimento e riforestazione. Insomma: un modo utile per compensare il proprio gap.

La maggior parte di questi piani riguardano le grandi aziende e sono comunque lontani, come emerge dal rapporto, dal conseguire i traguardi di Parigi. Un grosso problema per le aziende, infatti, è relativo alla valutazione delle emissioni Scope 3, quelle che si verificano oltre i confini aziendali nelle rispettive catene di valore. Queste sono molto più difficili da tracciare rispetto alle emissioni Scope 1 (emissioni dirette, in gran parte da combustione di combustibili fossili) e Scope 2 (emissioni indirette dalla generazione di elettricità acquistata, vapore, riscaldamento e raffreddamento consumati). Tuttavia lo Scope 3 costituisce il maggiore responsabile dell’impatto sulle emissioni e affrontare questo problema richiede nuovi approcci, nuove partnership, anche internazionali perché il tema travalica i confini, e aziende veramente ambiziose.

E noi vogliamo essere accanto a queste aziende, per costruire catene di valore veramente innovative e sostenibili, magari cambiando completatamene l’approccio: non partire da un business e cercare di capire come farlo diventare green, con il fondatissimo rischio di incorrere in una operazione più o meno ben congegnata di greewashing, piuttosto partire da un progetto nato sostenibile e trasformarlo in business.

Cambiando l’ordine degli addendi… il risultato cambia, eccome!

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